"Kitchen" di Banana Yoshimoto - La recensione

 

Titolo: Kitchen

Autrice: Banana Yoshimoto

Editore:‎ Feltrinelli

Data di pubblicazione: 1 maggio 2014

Genere: Narrativa contemporanea  

Formato: Cartaceo e digitale

Link per l’acquisto: https://amzn.to/3tZBbrJ

 


“Non c’è posto al mondo che io ami più della cucina...”

Ho indugiato, ho procrastinato, ho rimandato. Poi ho capito che era arrivata l’ora di farlo e l’ho letto, cercando di dare fiducia a un’autrice che adoro, nonostante la tematica “cucina” non sia mai stata nelle mie corde.

Sto parlando di “Kitchen”, romanzo (composto da due racconti lunghi) dell’autrice giapponese Banana Yoshimoto, apprezzatissimo in Italia. Una storia, questa, che è una via di mezzo tra manga e letteratura. Ma nonostante questo, purtroppo mi ha convinta ben poco. Insomma, un nuovo romanzo nì da aggiungere al mio personale elenco di romanzi nì.

Ma innanzitutto,  qual è la trama? Di cosa parla il romanzo?

Niente spoiler, promesso.

Mikage ama le cucine. Tutti i tipi di cucine. Lei non ha famiglia. Ha appena perduto l’amata nonna, con la quale è cresciuta e ha vissuto anni felici dopo aver perso madre e padre, e ora si ritrova a fare i conti con la propria solitudine. Un bel Carnevale di Rio, direte voi! E invece no, perché ben presto due nuovi personaggi le stravolgeranno la vita. A pochissimo dal suo lutto, mentre Mikage se ne sta sdraiata sul pavimento della cucina – è lì che lei dorme solitamente – a disperarsi e a pensare al fatto che presto dovrà lasciare quella casa tanto amata, qualcuno suona il campanello. Si tratta di Yūichi Tanabe, suo compagno d’università, ragazzo conosciuto e tanto apprezzato da sua nonna. Mikage ricorda di averlo visto al funerale e rammenta le parole lodevoli di sua nonna per quel ragazzo. E lui, lì sulla porta, le chiede così, a bruciapelo perché va di fretta, se non le andrebbe per caso di trasferirsi a casa sua. Propone alla ragazza di andare a vivere con lui e con sua madre fino a quando Mikage non troverà un nuovo appartamento, meno costoso e più piccolo. E lei ovviamente accetta la proposta dopo una visita presso casa Tanabe. E sarà da lì che Mikage cercherà di ricominciare, sostenuta da quella nuova famiglia per niente convenzionale – e leggendo capirete perché -, elaborando il suo lutto prima di ricominciare a guardare con fiducia la vita e, forse, anche l’amore.

Di Banana Yoshimoto ho letto molto. Presagio triste, “Il coperchio del mare, Moshi moshi, solo per citarne alcuni. Ed è proprio per questo che, posso affermarlo con sicurezza, secondo me la Yoshimoto ha scritto di meglio. Molto meglio.

Lo spunto che dà inizio alla storia e alcune riflessioni sulla morte e sul dolore sono assolutamente validi. L’autrice è capace, come al solito, di descrivere i sentimenti (e i paesaggi) più disparati con estrema semplicità ma con grande efficacia. La storia di una ragazza che è rimasta sola e che ama le cucine (soprattutto quelle molto vissute) perché forse, inconsciamente, le ricordano la famiglia che non ha più, può essere un buon punto di partenza per un bellissimo romanzo. Ciò che a volte mi ha fatto storcere il naso durante la lettura non è lo stile impeccabile dell’autrice o la trama in sé, ma il modo in cui questa trama è stata poi sviluppata. Gli eventi e i cambiamenti (che dovrebbero essere cruciali ai fini della storia) sono un po’ sconclusionati e si svolgono sempre in maniera improvvisa – senza preludi, senza eccessivi approfondimenti - e talvolta forzata. Alcuni dialoghi mi sono parsi quasi senza senso e la tematica delle cucine non è poi così in primo piano come il titolo fa presagire. È quasi come se l’autrice fosse partita da un’idea di base che poi, nel corso della stesura, ha trascurato totalmente per parlare d’altro. L’incompiutezza del finale, poi, è stata per me il colpo di grazia.

Insomma, è stato un po’ come leggere uno shojo manga di quelli un po’ forzati (Itazura na Kiss… cof cof…): nonostante la poesia di alcuni momenti, secondo me il romanzo non riesce davvero a mantenere le promesse e ti ritrovi ad arrivare alla fine solo per capire dove la storia andrà a parare. Chiudendo poi il libro con un sonoro “BOH!”.

Ho invece apprezzato parecchio il romanzo breve che la Feltrinelli, anche in questa nuova edizione, ha posto subito dopo il romanzo. Moonlight Shadow" è il primo romanzo breve pubblicato dall’autrice giapponese. Si tratta di un racconto dolce e delicato, dal sapore mistico, pieno di sfumature tenui come l’alba, tra sogno e realtà, tra passato e presente. Banana Yoshimoto l’ha scritto nel 1987 come tesi di laurea ed è, a mio avviso, molto valido e toccante. È la storia di un lutto, di un dolore che cerca consolazione, del desiderio di reagire e andare avanti dopo una tragica perdita. Sullo sfondo, la mitica festa tradizionale giapponese dei Tanabata. Ed essendo un’amante delle tradizioni giapponesi e degli anime-manga, non potevo che adorare questo racconto dall’inizio alla fine. Le ambientazioni sono magiche e sognanti, i personaggi sono tratteggiati con garbo e gli eventi mistici sono trasognati eppure reali. Ammetto che, in alcuni punti, l’atmosfera sospesa tra alba e oscurità mi ha ricordato un po’ l’anime “Your name”

Un po’ romanzo, un po’ manga: questo è Moonlight Shadow”.

In conclusione trovo che, se volete davvero assaporare lo stile dell’autrice e la magia dei suoi romanzi, “Kitchen” non sia propriamente l’emblema di tutto ciò. Trovo che “Presagio triste” o “Il coperchio del mare” siano molto più interessanti.  Assieme a Moonlight Shadow, ovviamente.

 


Commenti

  1. Ecco io non riesco ad apprezzare moltissimo l'autrice...però se dici che è un nì c'è una ragione, ora io sto tentando di terminare un libro preso con tante aspettative...è brutto quando ti aspetti qualcosa e poi ci rimani male...

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    1. Io pensavo si trattasse di qualcosa che avesse a che fare con ricette e prelibatezze culinarie giapponesi per "curare" il dolore della protagonista. E invece no. Boh.

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