“Io ti rivedrò” di Rosaria Giorgianni - La recensione


Titolo: “Io ti rivedrò”
Autore: Rosaria Giorgianni
Editore: Lettere Animate
Genere: narrativa, fantasy
Sito web editore: www.lettereanimate.com
Data di uscita: settembre 2018
Formato: cartaceo, Kindle
Lunghezza: 226 pagine circa
Dimensioni file: 518 KB
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“Nessuno era in grado di capirmi fino in fondo, e nessuno avrebbe avuto il dono di farmi ritornare ad amare la vita. [...] Solo io avevo idea di cosa si provava ogni istante a mettersi una mano sul cuore e sentire che batteva a metà.
E un cuore a metà non può esistere nella realtà perché gli resta poco da vivere.”

Mettiamo che voi non siate credenti e che l’ultima volta che siete andati a messa è stato alla comunione della vostra cuginetta che adesso ha circa ventisette anni, di lavoro fa l’ingegnere nucleare, è sposata, ha un figlio ed è venuta su anche innegabilmente figa. A differenza vostra che, tra l’altro, a trentasette anni ancora non avete imparato a sbucciarvi la frutta da soli e passate buona parte del fine settimana a guardare cartoni animati e serie tv sbracati sul divano, abbracciati affettuosamente a una confezione gigante di patatine alla paprika. Mettiamo che al catechismo non siete mai stati molto attenti e brillanti – e quelle poche volte che eravate attenti avete anche fatto domande considerate sceme, strane, scomode - e che solitamente siete spirituali quanto un fustone della Dash di quelli formato famiglia.

Nella diapositiva in alto, due praticissimi fustini Dash a caso.

Mettiamo quindi che siete esattamente come me, cinici, apatici, sarcastici, razionali fino a farvi schifo da soli e profondamente miscredenti. Bene, avete inquadrato il soggetto? Perfetto, se siete così non c’è comunque da preoccuparsi perché “Io ti rivedrò”, romanzo d'esordio scritto dalla bravissima Rosaria Giorgianni ed edito da Lettere Animate, riuscirà comunque a toccare corde che il vostro cuore incartapecorito e dannatamente blasfemo aveva dimenticato di possedere. Perché la sofferenza della protagonista di questo particolare romanzo, sospeso tra semplice narrativa contemporanea e sfumature fantastiche, indipendentemente da ciò in cui credete o non credete, è una sofferenza fin troppo terrena, straziante, comune e che, con i dovuti scongiuri di rito, potrebbe toccare chiunque. Perché fulcro di  “Io ti rivedrò” non è il credo/non credo ma l’elaborazione di un lutto, il disperato tentativo di andare avanti per non affogare nello sconforto di qualcosa che non può essere compresa con la semplice razionalità. L’aggrapparsi a qualcosa per non lasciarsi andare quando la vita ti travolge con una tempesta inaspettata, violenta, ingiusta e che lascia dietro sé solo una scia di devastante disperazione. In certi casi ognuno reagisce diversamente: c’è chi si aggrappa all’affetto della famiglia o degli amici, o al lavoro, o a una passione, o alla cura dei figli, dei nipoti. E poi c’è chi è tanto fortunato da potersi aggrappare anche alla fede, come accade a Maria, la giovane protagonista di questa storia che è al contempo incubo e sogno, cruda realtà e sognante magia.

“Aggrapparsi al Signore per sopravvivere, ma sapere che dentro di te qualcosa è morta per sempre, che senso poteva avere? Quell’uomo parlava una lingua che per me era sconosciuta. Nel mio cuore in frantumi non c’era posto nemmeno per un essere supremo come Dio.”

All’inizio del romanzo, Maria sta provando il suo abito da sposa. È al culmine della felicità come solo una sposa innamorata e convinta ha il diritto di essere: presto si sposerà col suo bel Giovanni, l’amore della sua vita, e poco importa se l’abito che ha scelto non incontri la piena approvazione di sua madre. Ma la sfiga, si sa,  è sempre appostata dietro l’angolo e le piomba di colpo addosso come un uragano per mezzo di una notizia orribile che la raggiunge all’atelier, una notizia che nessuna sposa innamorata vorrebbe sentire: lo sposo, il suo bel Giovanni, ha avuto un incidente stradale. Giovanni è morto. Incredulità e dolore lancinante si alternano nelle terribili ore che seguono, e anche nei giorni più prossimi alla morte dell’amato. Un dolore, quello di Maria, che pare arrivare fino al lettore che non può fare a meno di provare empatia per questa giovane siciliana di provincia ancorata suo malgrado alle usanze e alle credenze di un paesino minuscolo del Sud Italia dove il tempo sembra scorrere al rallentatore, risultando addirittura claustrofobico in alcuni modi di pensare.  Il mondo di Maria crolla quindi di colpo, si fracassa in mille frammenti: Giovanni non c’è più, quindi niente più matrimonio, niente più futuro, niente più sogni. E di sogni Maria ne aveva, ma era il suo Giovanni a sostenerli sempre e comunque, e senza di lui la ragazza si sente perduta, sola, barricandosi nel suo dolore, provando addirittura rabbia e irritazione per i numerosi parenti e conoscenti che vanno da lei per le condoglianze del caso, talvolta con l’intento di aiutare, talvolta di ficcanasare e basta…

“Parenti che a stento ricordavo di avere, amici e conoscenti, semplici vicini di casa o sconosciuti. Tutti trovavano un valido motivo per porgermi delle condoglianze superficiali. Mi chiedevo che motivo avessero per fare tutto ciò. Una forma di cortesia, forse, e sperare in una riconoscenza da parte di Dio un domani nel mondo dei cieli. A me non sarebbero servite a nulla le loro parole di conforto. Nessuno era in grado di capirmi fino in fondo, e nessuno avrebbe avuto il dono di farmi ritornare ad amare la vita.”

Il dolore, a volte, ci rende forse un po’ egoisti, come capita a Maria che non riesce a vedere altro che la sua sofferenza, senza accorgersi del dolore di quelli che hanno subito la sua stessa perdita, e che forse è pari al suo. Lei sa solo che nessuno può aiutarla, nessuno può far nulla per lei e che quel male lancinante che sente è insopportabile. Decide quindi di spegnerlo insieme alla sua vita, eliminando se stessa dal mondo per sempre per cancellare così la sua sofferenza. Ma proprio quando sta per gettarsi da una scogliera, subito dopo il funerale di Giovanni, qualcuno l’afferra saldamente e la porta in salvo. Un anziano e distinto signore le impedisce di compiere l’estremo gesto. Un signore che sembra avere una strana aura e che cerca di “ricondurla alla vita” parlandole di disegni divini e prove di vita da superare. Che le parla della fede e dell’importanza che questa può avere nei momenti di acuta sofferenza. Maria, come è ovvio che sia, all’inizio non reagisce bene alle parole dell’anziano – che paiono quasi le prediche di un prete -, ma qualcosa di strano è ormai successo e si accorgerà di non poter tornare indietro, perché l’anziano Renato è forse la chiave che può aiutarla ad andare avanti, a sopravvivere al dolore e ad amare di nuovo la vita grazie alla fede e al ricordo indelebile di Giovanni.

Parlando degli aspetti prettamente tecnici del romanzo, la narrazione si alterna tra due linee temporali: il presente, triste e cupo, e il racconto dei tempi felici di Maria e Giovanni, dalla prima conoscenza tra i due fino alla sera prima dell’incidente. L’ambientazione del piccolo paese siciliano a picco sul mare è sapientemente delineata dall’autrice e i personaggi principali sono ben caratterizzati. Il punto di vista di Maria è narrato in prima persona, rendendo impossibile non identificarsi con lei e non sentire quello che prova lei per la maggior parte del tempo. C’è poi la questione della fede in Dio che io, essendone del tutto sprovvista, nella mia razionalità ho considerato come una maniera come un’altra per reagire al dolore. Certo, qui in questo romanzo è predominante, ma uno dei messaggi che questa storia mi ha trasmesso è che ognuno affronta la sofferenza a modo suo, ognuno cerca di uscirne a modo suo. Non c’è un modo giusto o sbagliato di affrontare un lutto ed elaborarlo per andare avanti, perché ognuno ne ha uno suo personale, intimo e comunque valido. Sì, perché l’importante, alla fine, è reagire. In fondo è la vita stessa che lo esige, no?

Il romanzo, nel complesso, mi è piaciuto per quello che insegna a proposito dell’importanza dell’andare avanti e, soprattutto, per il messaggio che spesso siamo così concentrati sulla nostra sofferenza da non riuscire  vedere quella di chi ci sta accanto. Ed è un grosso errore, perché aiutando gli altri è possibile in qualche modo curare anche noi stessi, arricchirci e crescere, diventare migliori. Come? Tipo facendo volontariato o aiutando una persona vicina che ne ha bisogno.

Ciò che sinceramente mi ha un po’ spiazzata è stato il grosso colpo di scena finale che mi ha sorpresa ma che mi ha lasciata abbastanza confusa. Del tipo che un capitolo prima il romanzo apparteneva a un genere e il capitolo dopo era diventato tutt’altra cosa, subendo una brusca svolta. Il finale, quindi, lo avrei preferito diverso, magari con Maria ormai divenuta una donna forte che se ne va altrove... E invece il finale di “Io ti rivedrò” è sì molto dolce e pieno di speranza, come ogni bel finale dovrebbe essere, ma a mio avviso è un po’ troppo “fiabesco” rispetto alla durezza dei primi capitoli, rendendo in qualche modo quasi vana tutta la sofferenza che Maria – e noi con lei - ha dovuto patire per buona parte del romanzo, lottando contro il dolore per riprendere in mano la sua vita. Insomma, il confine tra sogno e realtà e miracoli celesti, secondo me, a un certo punto si è fatto un po’ troppo sfumato, tradendo un po’ quello che avevo letto fino a quel momento. Però non posso dire altro perché altrimenti commetterei il delitto di spoiler, quindi mi fermo qua…

In sostanza, un bel romanzo quello della Giorgianni, scritto egregiamente ma con un finale che una miscredente come me avrebbe preferito differente, più attinente al reale e alle necessità della sopravvivenza nuda e cruda di tutti i giorni. Alla capacità e alla forza di andare avanti, di affrontare il dolore e crescere, evolversi. Poi, magari, so già che i credenti la penseranno in maniera molto diversa… Questo, tuttavia, è il mio personale punto di vista, il mio giudizio soggettivo e nulla di più.



Per questa ragione, consiglio “Io ti rivedrò” soprattutto a chi ama le storie piene di rinascite, lotte interiori e fede, a chi crede in qualcosa che trascende il reale, in una qualche divinità sempre presente e pronta a dare segnali tangibili della sua presenza e del suo sostegno. A chi, suo malgrado, si è ritrovato ad affrontare un grave lutto e a combattere con le unghie e con i denti per metabolizzarlo e a chi magari sta attraversando un momento pessimo e vorrebbe solo incontrare una persona dolce e paziente come Renato che indichi la via con le sue parole piene di speranza…

In ogni caso si tratta di una bella storia, piena di spunti interessanti e che trasmette dei bellissimi messaggi difficili da dimenticare. Sì, persino per un’atea eretica miscredente come me.

E ora scusate, il mio movimentato fine settimana è già cominciato e le patatine alla paprika mi guardano languidamente dal divano già da un pezzo, con permesso…




 


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