"A qualunque costo" di Roberto Cocchis - La recensione


Titolo:  A qualunque costo
Autore: Roberto Cocchis 
Genere: Gialli e thriller
Editore:  Lettere Animate
In commercio dal: 26/09/2017
Formato: Cartaceo, formato epub
Pagine: 182



Immaginate di avere tutte le sfighe dalla vostra e, per di più, per ragioni che sfuggono al vostro raziocinio, di avere tutto il disprezzo di quel che resta della vostra famiglia, che vi tratta un po’ come le immancabili suocere ricche e acide delle telenovele fanno con le disgraziate protagoniste del solito sceneggiato utile quanto una malattia venerea. Immaginate di vivere nel meridione d’Italia dei primissimi anni Novanta (niente social, internet, smartphone), di essere stati mollati dalla vostra tipa per uno più ricco, di aver perduto nei modi più brutali tutti i vostri cari e di ritrovarvi praticamente soli e orfani a ventisette anni; immaginate poi di essere, nel mezzo di tutto questo schifo, persone sensibili, intelligenti e con una laurea in Sociologia in tasca, ma di non avere il becco di un quattrino, nessuno che vi sostenga e di non riuscire a trovare uno straccio di lavoro, neanche il più insulso. Bene, è in questa fantastica situazione che inizialmente troviamo Giacomo D’Arce, giovane napoletano protagonista sfigatissimo di questo giallo, “A qualunque costo”, edito da Lettere Animate e scritto egregiamente da Roberto Cocchis, attualmente docente di ruolo ma con alle spalle anni di precariato.

“Non avrebbe mai trovato la forza di portare a termine un gesto estremo come un suicidio ma, in quel preciso momento, se avesse potuto, si sarebbe lasciato cadere a terra morto. Sarebbe stata una liberazione: Giacomo D'Arce, nato il 17 ottobre 1964 e morto... che giorno era oggi? Morto il 28 novembre 1991, avrebbe finalmente smesso di trascinare un'esistenza da perdente che non aveva mai avuto la minima occasione. Purtroppo, nemmeno morire era facile. Era il destino a decidere come e quando, non gli si poteva sfuggire. Non si poteva sfuggire a nulla.” 

Un gatto nero ha appena intercettato Giacomo D’Arce.

 Giacomo, detto anche LeGioieSonoAltrove, non sa però che le sue sfighe sono infinite un po’ come le vie di un qualche signore del piano di sopra che non vi sto a descrivere. Nelle prime pagine succede che il caro zio Sabatino Pagliotta, pidocchioso fuori di testa asserragliato nella sua villa di periferia, lo chiami dopo tre anni di silenzio per metterlo in contatto col figlio, Amedeo Pagliotta. Che già il fatto di dover andare fino a casa dello zio - in campagna, a piedi e col rischio di farsi investire - per parlare al telefono col cugino quando anche Giacomo, a casa sua, ha un telefono fisso e Amedeo avrebbe potuto chiamarlo là, a me è sembrata una cosa un po’ strana. Ma andiamo con ordine… Amedeo s’è trasferito anni prima nel Milanese e ha fatto fortuna nel settore immobiliare. Invita quindi il cugino Giacomo, che non sente da una vita, a raggiungerlo lì perché per lui ci sarebbe un mucchio di lavoro e potrebbe essere assunto praticamente all’istante. Giacomo ovviamente accetta fiducioso, lascia tutto senza rimpianti e il giorno dopo parte per Milano. Durante il tragitto conosciamo quindi meglio questo ragazzo che, col suo coraggio e la sua intraprendenza, ci risulta subito simpatico. Facciamo il tifo per lui, anche e soprattutto quando cominciamo a capire che, in tutta la faccenda di Amedeo, c’è qualcosa di strano. Ed è proprio in qualcosa di strano che il povero Giacomo si ritrova coinvolto suo malgrado, ormai lontano da casa, solo e senza un soldo. Un qualcosa di strano lastricato di pericoli mortali e gente losca, loschissima. E talvolta anche vestita male e senza scarpe.

Crescendo, Giacomo si era gradualmente convinto che la vita umana consistesse di un percorso lungo una strada con una corsia bianca al centro, due grigie ai lati di questa e due nere alle estremità. La corsia bianca comprendeva tutto ciò che si poteva fare sempre e comunque; quelle grigie comprendevano ciò che non era bene fare, ma poteva essere fatto in caso di assoluta necessità; quelle nere comprendevano ciò che non andava mai fatto, nemmeno con la scusa della necessità. Non tutti al mondo avevano corsie bianche ugualmente larghe, alcuni le avevano così strette che dovevano per forza infilarsi continuamente in quelle grigie, ma ciò non significava che potessero passare anche in quelle nere. Laurearsi con la tesi della sorella rientrava in una corsia grigia, e la stessa cosa valeva per un altro fatto ancora più importante, cui cercava di non pensare mai; diventare uno scagnozzo dei Tammaro, invece, significava mettere tutti e due i piedi in una nera. Non lo avrebbe mai fatto, per nessuna ragione. Essere un grande incassatore di colpi, ora, non serviva più a nulla: era arrivato il momento di reagire, in qualunque modo.”

In alto, uno dei malvagi del romanzo in un momento di riflessione.

Non posso dire altro per non spoilerare la trama, quindi mi fermerò qua. Posso solo dire che il romanzo a me è parso un thriller-giallo solo per metà, ovvero fino alle indagini più che dettagliate e alla quasi soluzione del caso (che si conclude totalmente con il piccolo colpo di scena finale). L’altra metà del romanzo, invece, descrive per filo e per segno le lotte quotidiane di Giacomo per trovare un posto tutto suo in un mondo che non è il suo ma che potrebbe diventarlo con un po’ d’impegno. E Giacomo s’impegna, eccome! Con temi ancora attualissimi – la trama si svolge nei primissimi anni Novanta – quali disoccupazione, precariato, immigrazione, razzismo, discriminazione sessuale e arte dell’arrangiarsi, spunti significativi e riflessioni azzeccate, la trama del giallo-thriller si esaurisce più o meno a metà libro. L’altra metà racconta le (dis)avventure di Giacomo e la sua risalita dagli inferi in compagnia di gente come lui, coraggiosa, piena di talenti ma che la vita ha deciso di mettere alla prova (mi chiedo quanto ci sia in tutto questo della vita vissuta del professor Cocchis).

“Gli veniva da piangere al pensiero di tutto quello che avrebbe voluto fare perché il mondo fosse un posto migliore, mentre non riusciva neppure a occuparsi di se stesso.”



Il mio parere su questo romanzo è tre stelline su cinque. Il romanzo è ben scritto, con una bella narrazione che salta subito all’occhio, i personaggi principali sono ben caratterizzati, l’intreccio della storia è più che buono e la parte thriller sa fare il suo lavoro con la suspense. Personalmente, tuttavia, avrei preferito che il filo della trama fosse rimasto sul piano del giallo, delle indagini forsennate, delle fughe disperate per salvarsi la vita, delle sparatorie e degli affari loschi e pericolosi, con una spiegazione (e magari un confronto) finale di tutto rispetto che svela una volta per tutte motivazioni e aspetti rimasti poco chiari. In genere è questo che dovrebbe essere un thriller: le fila vengono tese sempre più in un crescendo di tensione,  misteri e colpi di scena fino al finale chiarificatore, con le vite dei protagonisti che fanno solitamente solo da sfondo a delitti indicibili e gente dalla pistola facile. L’ultima parte di “A qualunque costo”, invece, prende una piega diversa. Ok, è una parte scritta davvero bene e suscita comunque interesse per la simpatia che genera il protagonista nel quale è facile identificarsi. Questo, però, non è quello che personalmente mi aspetto da un thriller.  

Infine, consiglio questo romanzo a chi ama un tipo di thriller più “soft”, minimal, ragionato e con poca azione, ma anche pieno di riflessioni interessanti, attualissime e degne di nota su tematiche purtroppo all’ordine del giorno.

Baci e abbracci da zio Sabatino! 



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