"E alla fine c'è la vita" di Davide Rossi - La recensione
Titolo: E alla fine c'è la vita
Autore: Davide Rossi
Genere: Sceneggiatura, Narrativa contemporanea
Editore: Apollo
Edizioni
Collana: Uno, due, tre...
ciack!
In commercio dal: 10 maggio 2018
Formato: Cartaceo
Pagine: 280
Di seguito il link della lettura
effettuata da Valter Zanardi dell'introduzione del romanzo:
“Forse mi piace solo dormire, o forse non mi piace la realtà.
Forse mi piace sognare, o forse non mi piacciono le banalità.
Lo so, potrei alzarmi presto per vedere un nuovo giorno, ma
la realtà è che a me piace la notte, non la vita che nascerà.”
Ve li ricordate i tempi
dell’università? Quegli anni in cui vi sentivate particolarmente sfigati e
sbattuti fra un corso e l’altro, fra una levataccia all’alba e un tomo di
cinquecento pagine da studiare? Fra crediti formativi da recuperare, tasse
esorbitanti, professori zuzzurelloni ed esami infiniti, il tutto contornato da
uno studio matto e disperatissimo e da imprecazioni non sempre bisbigliate? E
le feste universitarie, ve le ricordate? Davvero? Eh, beati voi, io le feste
non me le ricordo, ma solo perché io alle feste non ci andavo! Ma il punto
per fortuna non è questo, tranquilli. Continuate pure a leggere, qui non vi
parlerò certo della mia eremitica vita universitaria!
Voglio
invece parlarvi di un romanzo particolare, diverso, singolare. Un romanzo che ha
come fulcro proprio la vita di
alcuni studenti universitari tra lezioni, mensa, bar, feste trasgressive e
appartamenti condivisi. Un romanzo insolito, e questa è una cosa che salta subito all’occhio del
lettore anche solo sfogliando “E alla
fine c'è la vita”, opera scritta dal trentatreenne Davide Rossi ed edita da
Apollo Edizioni. Ecco, di questo volevo parlarvi. E a questo punto vi starete
sicuramente chiedendo: ma diverso in che senso, scusa? Beh, nel senso che il
romanzo è praticamente scritto come una sceneggiatura cinematografica: dialoghi
serrati e veloci, descrizioni ridotte all’osso, narrazione schematica.
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Vabbè, Mimmo, a te lo spiego dopo, dai! |
Non per
niente le grandi passioni di Davide Rossi, stando a quanto riportato su alcuni articoli
che ho scovato su internet, sono la scrittura e il cinema. E in effetti Rossi
ha già collaborato alla stesura della sceneggiatura di un film, “Benvenuti a casa Verdi”
(Muccapazza film), nel 2013. Non è quindi propriamente un esordiente, anche se “E
alla fine c’è vita” è il suo primo romanzo.
Ma di cosa parla esattamente questo
romanzo/sceneggiatura? Come vi ho già accennato, i protagonisti sono alcuni
studenti universitari alle prese con lezioni, feste, sbronze e sballo nella
Pavia del 2009. Mi spiego meglio: c’è Marco che non ha ancora capito cosa vuole
dalla vita, elude le telefonate del padre e va a lezione o alle feste con due
strani coinquilini che amano sballarsi fino a stare male, in una routine
autodistruttiva nella quale Marco si fa coinvolgere con piacere; c’è Mario,
studente universitario pendolare, che sviene all’università e finisce in
ospedale, dove la sua vita subirà una brusca svolta; ci sono le superficiali Marianna
e Rosanna che, dopo le lezioni, vanno alle feste, si sballano e finiscono a
letto con uomini di cui non conoscono manco il nome; c’è Marika, studentessa
Erasmus spagnola che studia e lavora sodo, ma che ha problemi col fidanzato
lontano. Le vicende di tutti questi personaggi s’intrecciano e s’incastrano tra
loro in maniera meticolosa, come i pezzi di un puzzle che alla fine mostrerà il
risultato di quello che le azioni di ognuno hanno provocato. Sì, perché tutti,
nessuno escluso, avrà la sua bella lezione da imparare e forse maturerà,
crescerà, andrà avanti o capirà cosa vuole davvero fare della propria vita.
E fin qui la trama senza spoiler
di questo singolare romanzo che ho apprezzato soprattutto per la sua
originalità, per il bell’intreccio narrativo e per la maniera affatto
edulcorata di raccontare quello che talvolta è la vita dello studente
universitario. A cosa mi riferisco? Al fatto che il fulcro della vicenda non
sono - come ci si aspetterebbe - le notti insonni passate a studiare, gli esami
infiniti da fare e la vita sociale trascurata per assicurarsi un buon voto o
per seguire le lezioni; fulcro della vicenda è lo sballo a ogni costo, la
droga, l’alcol, il sesso occasionale. L'anticonformismo che diventa conformismo. Tutto questo, infatti, è visto come una
sorta di “religione” da seguire per non essere considerati sfigati, perdenti.
Personalmente ho avvertito in tutto ciò il vuoto educativo e sentimentale di
questi ragazzi che paiono quasi dei bambini gettati in un mondo adulto senza
“le istruzioni per l’uso” che, solitamente, a quell’età si dovrebbero già avere
per grandi linee (tipo non drogarti, non guidare quando sei strafatto, non
andare a letto con tutto ciò che respira eccetera eccetera), e che fanno uso di
droghe, bevono e poi stanno male per colmare in qualche modo quel vuoto e per
essere accettati, considerati fighi. La parte dell’università è solo accennata
perché la parte da protagonista la fanno le feste e lo sballo. Fino a quando la
realtà chiede il conto un po’ a tutti ed è allora che alcuni lettori vegliardi
come me – per i quali il massimo della trasgressione all’università era
fotocopiare gli appunti delle lezioni di quello più bravo – potrebbero esultare urlando:
“Eeeeh! Ti sta bene, deficiente!”. Sì, perché alla fine non sono riuscita a
identificarmi in nessuno dei protagonisti e alcuni loro atteggiamenti mi sono
risultati persino irritanti, ma mi rendo conto che non tutti hanno fatto vita
di clausura come me all’università, e leggere di quest’altro modo di vedere il
mondo, universitario e non, mi ha incuriosita e spaventata al contempo. E mi ha fatto
riflettere parecchio anche su quella che è la moda del momento: uscire per
sballarsi come sinonimo di divertimento. In fondo non è poi troppo diverso da
quello che fanno i protagonisti di “E alla fine c'è la vita”… E che questo
vuoto educativo e questo malessere sociale stia catturando sempre più soprattutto
le nuove generazioni (ma anche la mia non scherza!) è qualcosa di innegabile e,
se permettete, terrificante.
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E a proposito di terrificante: in alto, una diapositiva di me ai tempi dell’università. Tranquilli, oggi sono molto, molto peggio. |
Insomma,
il romanzo, nel suo complesso, si lascia leggere anche abbastanza rapidamente e
sa coinvolgere; i personaggi sono così ben caratterizzati che ti vien voglia di
strigliarli a dovere ogni volta che fanno una cavolata e l’intreccio narrativo
è preciso e impeccabile. Ci sono magari, a mio avviso, alcune parti da
migliorare, tipo il finale poco definito e dove non è ben chiaro se i
personaggi siano davvero maturati o è solo merito dello spavento del momento (e
comunque, secondo me, degli incoscienti così non maturano mai troppo
rapidamente…). Quindi alla fine sì, c’è vita, ma i protagonisti hanno davvero
capito quanto questa sia preziosa? Vi sono poi alcuni refusi nel testo, ma si
tratta comunque di errori di battitura esigui sfuggiti all’editing e che potrebbero
trovare una soluzione con una rapida revisione.
In conclusione, consiglio il
lavoro di Davide Rossi soprattutto a chi ama il cinema e a chi è alla ricerca
di storie particolari, fuori dagli schemi, narrate in maniera originale. A chi desidera
riflettere su un fenomeno, quello dello sballo a ogni costo, e a chi è
semplicemente curioso di leggere qualcosa di nuovo. In ogni caso, l’opera del
giovane Davide Rossi non vi annoierà di certo, ve lo garantisco!
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